In Tribuna Tevere con Andrea Papini, tifoso non vedente: «La partita la ascolto con la radiolina fornita dalla Roma, ma è dal mio posto che la respiro.Il gol di Totti? L’ho visto!»

«Andre’, c’era il rigore? E il fuorigioco?». Lo chiedono a lui, che pure non vede nulla, se quel fischio dell’arbitro fosse giusto o meno. E’ perché Andrea ha la radiolina, che gli dice in tempo reale cos’è successo. Loro sono gli amici che lo circondano e, per questo motivo, lo chiamano il “Moviola”. Ed è come se fosse lui a “vedere” per loro. Questo lo fa sorridere. E un po’ lo inorgoglisce. Sorride, Andrea Papini, anche con gli occhi. Che ti penetrano dentro più di quanto riescano a fare gli sguardi, così spesso assenti, di tanti altri. Sorride, e scherza, con chiunque gli capiti a tiro. Quando passa il varco della Tribuna Tevere, quello riservato a invalidi e disabili, dove abbiamo appuntamento, gli si fanno incontro un paio di steward che lo conoscono bene e da tempo. «Sei Antonio!» fa lui a uno di loro, che gli si para davanti. «Ti riconosco dall’odore». Così come riconosce gli altri dalle strette di mano. Lo aspettano, anche stasera, per consegnargli la radiolina con cui seguire la partita. «Gli auricolari sono nuovi - gli dice uno dello staff, con la pettorina arancione. – Solo per te!». Andrea Papini, così fa di cognome, arriva, come sempre, accompagnato da Dino, che oggi compie 65 anni e offre il caffè a tutti, lì al bar sotto la tribuna, dove Andrea comincia a raccontarmi la sua storia. Della sua vista, che ha perso nell’81, in un incidente stradale, quando aveva diciannove anni, ma che ha “riacquistato” un paio d’anni anni dopo, quando è nata la sua passione per la Roma.

Mi racconta dell’incidente, in una bella mattina di primavera. Era il giorno di Pasqua e lui, che stava facendo il militare nei Vigili del fuoco, decise quel giorno, con un amico, di andare al mare, qui vicino, sul litorale laziale. «Avevamo con noi una di quelle grosse radio che si usavano a quel tempo, quelle con il mangianastri, come si chiamavano allora. A un certo punto, la radio finì in mezzo ai sedili e, per spostarla, non mi accorsi di una curva. Fu un botto frontale. Non esistevano ancora le cinture di sicurezza e finii con il viso, e gli occhiali, contro il volante. Le schegge dei vetri mi entrarono negli occhi. Uno l’ho perso del tutto, e oggi ho una protesi, mentre nell’altro ho avuto il distacco della retina e, praticamente, sono invalido civile come cieco assoluto».

Una reazione, quella di Andrea, che è nato a Firenze, per via della madre toscana, ma si è trasferito a Roma quando aveva solo 23 giorni, che l’ha visto tuffarsi da subito nel lavoro. Nella vita, infatti, fa l’informatico, agli inizi come programmatore analista, oggi come helpdesk di una grande azienda. «L’anno dopo – racconta – ero a lavorare a Milano. Era la stagione ‘82/83, quella del secondo scudetto. E per me, in quella città del Nord, una rivalsa mi venne proprio dall’essere tifoso della Roma. Da allora, la seguo sempre». Andrea è sposato e ha quattro figli, due maschi e due femmine: Giuditta, che ha quasi 20 anni, Jacopo, che ne ha 17, e poi Rebecca, 8, e Stefano Karol, 6. «Il suo secondo nome è quello di papa Wojtila. È perché sono credente e praticante». Una fede forte, la sua, come quella, senza apparire blasfemi, che prova per la Roma. «Per lui è davvero una ragione di vita» mi spiega Dino, suo ex collega di lavoro, che gli è accanto come amico da quasi trent’anni. Ma se Andrea oggi è qui, con la radiolina fornitagli dalla Roma, di battaglie ne ha dovute sostenere comunque tante.

«Quando dicevo che volevo andare allo stadio, mi rispondevano “ma a che ti serve, se non vedi nulla?”. Non capivano che per me è importante anche sentire il profumo dell’erba quando viene annaffiata prima della partita. E comunque, respirare quell’aria insieme agli altri. Quei cori, per me, tridimensionali. Sentire lo stadio che gioisce o impreca. Perché anch’io, quando serve, le dico, le parolacce. Come tutti».

Continua la sua storia. «Fu Umberto Esposito (ex figura storica nell’amministrazione della As Roma, ndr) a rappresentare la mia vicenda a Franco Sensi, nel 2000, l’anno in cui avremmo poi vinto il terzo scudetto. E fu allora che il presidente, che si era preso a cuore il caso, dal suo carnet privato, mi regalò – e l’avrebbe fatto ogni anno, fino a quando è vissuto - due abbonamenti per la Tribuna Monte Mario, uno per me e uno per il mio accompagno.

Dopo la morte di Sensi, e senza più Esposito in società, non li ho più avuti. Fino a quando, con la nuova proprietà, si è tornati ad occuparsi della questione. La verità è che, per cavilli burocratici, i ciechi non erano ancora equiparati ai disabili al 100%, come prevede la legge. Da quando, invece, la norma è cambiata, possiamo avere anche noi due abbonamenti ridotti». Durante la partita, è lì accanto a me, che mi riporta il commento della radio. «Finalmente, posso di nuovo sentirla in diretta, come ai tempi in cui le radio private potevano trasmetterla» esclama. Già, la diretta. C’era stato infatti un problema, di natura tecnica, in Roma-Juventus.

Il segnale che arrivava da Teleradiostereo non era in sincrono con quanto accadeva in campo. La spiegazione è semplice: l’emittente trasmette con i classici quattro secondi di ritardo che consentono, a chi segue la partita in televisione, di sostituire l’audio originale, quello dei telecronisti di Sky o Mediaset, con quello radiofonico. E per uno strano scherzo del destino (due cavetti invertiti), il segnale che arrivava all’orecchio di Andrea era addirittura più ritardato. «Ho sentito il racconto del gol di Totti quando lo stadio era già esploso da un po’.

E così, me lo sono goduto a metà». Stasera, invece, funziona tutto benissimo. Faccio la prova io stesso, e verifico che le voci di Alessandro Paglia e Dario Bersani arrivano sulla radio del mio telefonino più tardi, giustamente, rispetto a quando le ascolta Andrea. Che ringrazia i due radiocronisti: «Hanno parlato anche di me e di noi non vedenti – mi dice, fiero. – Mi fa piacere che ne siano ricordati».

E continua: «Lo devo alla Roma, e in particolare a Marco Seghi, che se n’è fatto carico in prima persona, se oggi posso seguire la partita attraverso questa radiolina. E anche a MyRoma (l’associazione nata intorno all’idea di azionariato popolare, ma che tanto si è battuta con iniziative in favore dei tifosi e di specifiche categorie, a partire da quella dei disabili, ndr). Merito del presidente Walter Campanile – dice- che mi ha sostenuto in questa battaglia».

Tutto comincia con la proposta di una sperimentazione. Tolta a suo tempo la possibilità alle radio private («passavo da una all’altra per i tre minuti concessi ad ognuna»), si è infatti guardato altrove. «E’ stato quest’anno, in occasione di Roma-Bologna – racconta ancora Andrea. – Mi hanno messo a disposizione l’audio di Roma channel. Ma, senza nulla togliere ai due conduttori, la telecronaca è cosa diversa dalla radiocronaca, perché nell’una ci si limita a commentare quanto è già visibile a tutti, mentre nell’altra c’è la descrizione vera di quanto avviene sul campo». Con Roma-Milan e poi Roma-Juventus, si è così passati alla radio.

Ma con i “ritardi” di cui dicevamo. Oggi finalmente risolti.

Roma-Genoa, intanto, è cominciata. Andrea mi descrive cosa c’è scritto sugli striscioni. E sul tabellone luminoso. Quando l’arbitro fischia il rigore per i giallorossi, scatta in piedi insieme agli altri. «Duecentoventinque!» grida, quando la palla entra in rete. Lo dice come se li avesse visti tutti, dal primo all’ultimo, quei gol di Francesco Totti. Quello a cucchiaio, quello con la palla a rientrare, la botta da fuori, il pallonetto. Tutti nei suoi occhi. «L’ho visto» mi dice. «Perché, anche se ti sembrerà strano – aggiunge - quest’espressione, dal mio vocabolario non l’ho mai cancellata». Lo guardo. Sorride. Con gli occhi e col cuore. Ci siamo capiti.



Published 18/04/2013